domenica 27 settembre 2009

Mozione su Chico Forti approvata all'unanimità dal Consiglio Regionale

“Enrico Forti ha diritto ad un processo”



Dopo appena venticinque giorni di processo sommario, il 15 giugno del 2000, Enrico Forti, imprenditore trentino recatosi all’estero per ragioni di lavoro, venne condannato per omicidio.

L’intera vicenda ha dell’incredibile: costui, secondo la giuria popolare della Dade Country di Miami, sarebbe il mandante dell’omicidio di Dale Pike, figlio di Antony Pike, conoscente di Forti a quel tempo in gravi difficoltà economica.

Per comprendere l’inconsistenza delle accuse mosse a Forti, non occorre scendere nei particolari e basta rammentare, com’è stato ampiamente provato, che l’intero contatto tra Forti e Dale Pike è durato appena mezz’ora, che i due non si erano mai incontrati e che l’imprenditore trentino non aveva alcuna ragione per vendicarsi col padre del ragazzo, che, anzi, avrebbe dovuto incontrare di lì a poco, vale a dire il 18 febbraio, a New York.

Inoltre - a parte il fatto che non è mai stata trovata l’arma del delitto, che nessuno ha mai provato in alcun modo il contatto tra l’assassino di Pike, tutt’ora senza nome, e Forti - ulteriore prova dell’innocenza dell’imprenditore trentino è riscontrabile nel fatto che costui, convocato come persona informata dei fatti poco dopo l’omicidio, si recò spontaneamente e senza avvocato al dipartimento di polizia. Comportamento assai singolare, per un potenziale mandante d’omicidio.

A questo si aggiunga la totale assenza a suo carico, escluse quelle “circostanziali”, la cui inconsistenza è denunciata dallo stesso vocabolo, che rimanda a circostanze, coincidenza, ma certo non a certezze o a fatti.

L’assenza di prove a carico di Forti fu tale che il pubblico ministero locale, Reid Rubin, impiegò ben ventotto mesi per predisporre la sua arringa finale, un vero e proprio record, tipico di chi è costretto a costruire un impianto accusatorio sulle sabbie mobili.

Paradosso finale dell’intera vicenda, fu che la parola finale, al processo, venne concessa proprio al pubblico ministero Rubin, che fu pertanto libero di avanzare la più strampalata delle teorie, consapevole del fatto che né Forti, né il suo avvocato avrebbero potuto opporre replica alcuna.

Questo l’incredibile pronunciamento, dopo appena poche ore di ritiro, della Corte:

“La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ha la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale”.





Ciò premesso il Consiglio regionale della Regione Autonoma Trentino- Alto Adige/Südtirol impegna il Presidente del Consiglio e l’Ufficio di Presidenza



ad adoperarsi, unitamente al Presidente della Giunta, presso le competenti Istituzioni nazionali – Capo dello Stato e Presidente del Consiglio – affinché possa essere chiesta alle Autorità statunitensi quantomeno una revisione del processo che ha visto la condanna dell’imprenditore trentino Enrico Forti.

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